Due temperamenti diversi ma complementari e necessari l’uno all’altro. E quanta eredità di esperienza vivificante mi ha lasciato!
Maria Luisa
Mario amava molto vivere in casa, luogo elettivo degli incontri con gli amici, delle sue letture, degli ascolti musicali e delle attività manuali che esercitava soprattutto in cucina. Si sedeva spesso al pianoforte e la musica accompagnava tutta la giornata. Detestava invece gli spostamenti,i viaggi in genere, la villeggiatura, le vacanze fuori casa. L’aeroporto, le stazioni, la preparazione di una valigia rappresentavano per lui e per chi gli stava vicino una vera immersione nell’infelicità.
Il luogo ideale dove avrebbe voluto sempre vivere era il palcoscenico. Su quelle tavole non sentiva mai stanchezza. Negli spazi del teatro vuoto, nei momenti prima dello spettacolo, dormiva fra le quinte o su una poltrona della platea. Dopo uno spettacolo, magari durato due ore, e dopo gli applausi del pubblico era pronto a ricominciare senza accusare stanchezza. Durante le prove adorava passare il tempo con i tecnici e tutto il personale addetto alla vita del teatro. Con alcuni di loro aveva stretto lunghe amicizie basate sulla stima ed il rispetto di quel grande artigianato che vedeva in via di estinzione… Lui stesso amava definirsi un artigiano.
L’oggetto dal quale non avrebbe mai potuto separarsi è stato il telefono. Il telefono era sì strumento di lavoro per lui, ma anche legame elettivo con il mondo, scialuppa di salvataggio nei mari dell’ansia e, perché no, mezzo sonoro di seduzione di esseri umani di tutte le età. Rincorreva istituzioni, amicizie, inimicizie, affetti e amori attraverso questo oggetto telematico. Un guasto telefonico poteva rappresentare un dramma. All’epoca del fisso, in casa c’erano apparecchi a portata di mano in tutte le stanze. Con l’avvento del cellulare non si separava mai da quella scatoletta che teneva nelle tasche, anche quelle del pigiama.
Con la sorella Mariella - una giovane ultraottantenne, spiritosissima e dispensatrice di parole affettuose, custode attenta del passato, capace ancora di prodigarsi calorosamente con tutti i parenti sparsi nel mondo – si sentiva pressochè giornalmente, rispolverando la parlata triestina in piena fedeltà al lessico famigliare, per puntuali aggiornamenti densi di particolari sulle vicende di tutta la famiglia.
Ha accolto l’arrivo del computer con diffidenza e poi rassegnazione, abbandonando l’uso della scrittura a mano ed istaurando un rapporto inevitabilmente conflittuale con il PC, fatto di inaspettata pazienza, di rabbie incontenibili e qualche momento di soddisfazione. Ma lo ha utilizzato fino agli ultimi giorni.
Quando Mario metteva in forma di scrittura un’idea che lo invadeva, si chiudeva nello studio e scriveva in genere di notte. Il giorno dopo, tornando da scuola, dove disciplinatamente ho svolto per 40 anni il mio amato lavoro di insegnante, trovavo i fogli sul tavolo da pranzo ed era tacito che, per prima cosa, ancor prima di pranzare, dovessi leggere e commentare: l’urgenza era una categoria del suo tempo quotidiano! Questo rituale di urgenza, comunque, mi coinvolgeva assai e mi appassionava. Quasi sempre trovavo interessanti i testi. Quando però mi deludevano, glielo dicevo affrontando un certo rischio immediato… ma poi mi accorgevo che, zitto zitto, teneva conto dei miei pareri.
Ho avuto una fortuna. La mia vita a casa, dopo la scuola, mi lasciava del tempo per la mia grande passione: la trasformazione degli spazi, il disegno e naturalmente, data la mia ormai abituale frequentazione dei teatri, la scenografia.
Ho visto lavorare Emanuele Luzzati (grandissimo anche come insegnante), Sergio D’Osmo a Trieste (che mi ha dato preziosi consigli ), e poi ho sempre osservato all’opera i tecnici nel back stage del palcoscenico, dai quali si impara moltissimo. Mario mi guardava disegnare e armeggiare con colori e materiali e si stupiva del fatto che quelle cose lui non le sapesse fare!
Veniva il momento in cui un suo testo trovava le condizioni (mai troppo facili) per essere rappresentato. Lui quindi AUTORE, INTERPRETE, REGISTA, il vero mattatore. Mancava una quarta figura: lo scenografo, che penso lui sentisse quasi un intruso. L’ho sentito dire spesso: “In teatro la scenografia non serve a niente, bastano gli attori!”. Stranamente però mi chiedeva di fargli dei bozzetti su come vedevo la scena, per me ovviamente un invito a nozze!
E’ così che sono nate le mie collaborazioni con il suo lavoro e in quei momenti la casa si trasformava in un meraviglioso laboratorio, dove io sentivo – insieme alla paura per la prestazione, alle ansie per i crudelissimi tempi sempre troppo corti e all’ingegnosa strategia per stare nel budget sempre troppo esiguo – una grande felicità. La gioia che si prova, con lo spettacolo andato in scena, nel vedere come un disegno, un pezzo di carta, una vecchia stoffa, una trasparenza e la luce dei riflettori possono trasformare lo spazio scenico, è indicibile.
Un artista appartiene al mondo: occorre perciò per vivergli accanto una struttura caratteriale speciale. Non è stato facile condividere 50 anni di vita ma la sua presenza di voce e di persona non è mai venuta a mancare né di giorno né di notte, anche nei momenti più difficili di crisi o di lontananza (soprattutto nel dolore della perdita di nostra figlia Anna). Sapeva farsi sentire comunque e nei modi più affettuosi. Il legame era un intreccio di attrazione fisica e mentale che non è cessato neanche in tarda età, di sorprese e ammirazione reciproca, di scambio di energie di qualità diversa e anche di qualche reciproco necessario sacrificio.
Maria Luisa Rado